L'apnea da fermo a secco, in apparenza, è lì'esercizio di allenamento più semplice.
Però, perchè abbia un'effettiva utilità bisogna capirne il significato e quindi eseguirlo per ottimizzare quelle capacità sulle quali può incidere maggiormente.
Partiamo con l'analizzare quell'apnea a secco che consente i massimi tempi e si esegue nella maggiore concentrazione e immobilità possibili, comodamente rilassati in posizione supina su un supporto stabile e confortevole.
La massima permanenza in apnea si raggiungerebbe immersi in un paio di metri d'acqua tiepida, ma sono condizioni ambientali quasi irrealizzabili. In ogni caso, questo esercizio ha come primo scopo la sospensione completa dell'attività muscolare volontaria e l'abbassamento del tono muscolare involontario.
L'autonomia di un'apnea da fermo è fortemente condizionata anche da movimenti o tensioni muscolari all'apparenza insignificanti, ma che accompagnano abitualmente lo stato di veglia e di attenzione.
Paragonando ancora l'organismo umano a un motore endotermico, si tratta qui di regolare il regime del minimo.
Con la differenza che il minimo che teniamo di consueto è a un regime molto superiore a quello effettivamente necessario al solo metabolismo, cioè al semplice mantenimento delle funzioni vitali. I movimenti volontari sono ben controllabili nella prima fase dell'apnea e infatti è questa che viene più facilmente prolungata.
Ma ci si trova presto a fare i conti con tanti micro-aggiustamenti degli arti e altre mille necessità di accomodamento: l'improvviso prudere del naso, il braccio che proprio non trova un posto comodo, eccetera. In effetti, trovarsi da soli a soli di fronte al tempo che passa è il modo migliore per controllare la propria capacità di rimanere immobili e insensibili a stimoli esterni e interni.
Ci accorgiamo così quanta parte delle nostre azioni sia conseguenza degli stimoli visivi e della stessa mobilità oculare e come questi siano da soli in grado di falcidiare la nostra resistenza all'apnea. |