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Le estremità umane, si sa, sono quelle più esposte ai rigori del freddo. La rete capillare ematica è diffusa superficialmente e gli equilibri termici sono facili a repentini cambiamenti di stato. Una dispersione calorica elevata in questo punto non si limita a un danno locale, confinato a pochi centimetri di cute, ma conduce ad un raffreddamento delle restanti compagini fisiche.
In campo subacqueo la questione avvampa: il neoprene isola meravigliosamente il corpo e l’avvolgente giacca e i caldi pantaloni svolgono una funzione protettiva sostenuta. Peccato che questi capi da soli non diano il grado totale di copertura: rimangono al freddo i piedi, le mani. In estate la questione transita come un temporale d’agosto ma se iniziamo ad allargare gli orizzonti e i campi d’azione, e l’inverno diviene una costante meta di tuffi, verificheremo che non possiamo assolutamente trascurare questo aspetto.
Altrimenti prima si avvertirà un brividino sottile, lontano, proveniente dalla pianta e dalle dita, poi arriverà il freddo, il formicolio del collo, e infine l’ondata di freddo assalirà definitivamente le caviglie, i polpacci. A questo quadro tenebroso se ne aggiungono altri due minori, se volete, presenti tutto l’anno e in un certo senso altrettanto pregnanti: la salvaguardia della cute degli arti inferiori e l’interfaccia biomeccanica con le scarpette delle pinne.
Tutte le pinne possiedono delle scarpette con forme più o meno ergonomiche, dai materiali compositivi più o meno rigidi, dalle misure più o meno calzanti anatomicamente.
Ora, la questione relativa all’interfaccia piede/scarpetta è da valutare attentamente. |
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Ne provate un paio che vi sembrano buone come architettura esterna e non vi vanno bene come calzata. C’è sempre un lato largo o stretto, uno spessore che balla o che da fastidio, un punto o una zona che comprime eccessivamente l’anatomia. I pescatori adottano spesso le pinne scomponibili e qui il terreno di gioco si complica, si fa duro. |
La questione obbliga a calzare le pinne con il piede spessorato. La pinneggiata è un’azione alla base del nostro sport e partire con un accoppiamento sfavorevole tra uomo e attrezzatura non è consigliabile. La dinamica dell’azione forza la situazione poc’anzi analizzata e amplifica enormemente tutti i problemi: ci vogliono risposte soddisfacenti e autorevoli.
Il calzare è una sorta di fasciatura protettiva che s’interpone tra la pelle e il caucciù livellando i dislivelli, riempiendo i vuoti, limitando le abrasioni della cute e gli sfregamenti. La gamba dell’atleta deve risultare un’insieme strutturalmente solidale con la pala.
Alcuni pescatori, approfittando della mitezza delle acque, adoperano dei semplici tubolari di spugna che svolgono le medesime funzioni. I modelli in neoprene sono la scelta che va per la maggiore e la reperibilità nei vari esercizi commerciali o artigianali è vasta. |
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Il neoprene impiegato ricalca le note già analizzate con l’eccezione che le pezze cucite e incollate non appartengono a materiali fantascientifici.
Non c’è bisogno di elasticità superlativa o di memoria stratosferica: si cerca soprattutto una buon isolamento termico, un taglio di forme perfette, un tessuto di rivestimento che non deperisca rapidamente. La protezione al freddo si ottiene principalmente con lo spessore del neoprene che va dai 2 mm ai 5 mm.
Sezioni maggiori, sino a 7 mm, vengono adoperate solo per usi specialistici.
Il 2 mm o più il comunemente il 3 mm è il calzare più impiegato in tutte le stagioni; nei mesi più freddi qualcuno passa al neoprene da 5 mm. Il tipo di fodera incide nel rapporto calorico: attualmente i più caldi sono i calzari in termo plush, in neoprene micro cellulare spaccato, in fantastica spalmatura di metallo termoriflettente. |
Il contatto con la scarpetta riveste un’aspetto, a volte, sottovalutato. Un materiale che eserciti una frizione di attrito con la gomma è da preferirsi quando si cerca il massimo di sofisticazione d’accoppiamento: il neoprene liscio ancora la scarpetta con autorevolezza.
Il neoprene foderato è un po più instabile ma la sua robustezza è una dote assai considerata: perdona qualche camminatina sugli scogli e non si abrade nei punti sollecitati all’interno della calzata.
A proposito degli inevitabili spostamenti pedestri, ricordatevi che in teoria non dovrebbero mai essere fatti senza l’interposizione di una ciabatta o di una calzatura protettiva: solitamente la fine del componente è proprio determinata dall’incuria così provocata.
Una particolare attenzione va osservata se si cammina con calzari lisci internamente quando sono indossati con la mistura di sapone o shampoo: la sensazione di passeggiare su due saponette rende l’idea di cosa possa capitare.L’ultima novità bellissima è l’applicazione di una sottile pellicola anti scivolo e anti usura sulla fodera della pianta del piede (tipo la protezione sternale delle giacche). |
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Il comfort è dato esclusivamente dal taglio d’assemblaggio che deve essere, anche in questo caso, una seconda pelle. Le cuciture e gli immancabili incollaggi dovranno essere a prova d’infiltrazione d’acqua: diffidate a priori degli indumenti solo cuciti. I calzari composti da tre pezzi o più di neoprene riescono a seguire meglio le curve particolari delle nostre estremità. Quando la misura non è azzeccata si formano pieghe di tessuto neoprenico che ostacolano la calzata e l’aderenza con la gomma della scarpetta.
Un esempio classico sono le sacche di acqua con la successiva stasi abbondante di liquido che si verificano spesso sulla punta del calzare. Esistono dei modelli artigianali preformati, anatomici, che addirittura presentano un inclinazione simile a quella del piede iper esteso durante la falcata. Qualche costruttore crede nel bordino della caviglia stagno che viene inserito sotto un analogo sistema posto al termine del pantalone.
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