PINNE
Strutturalmente ci troviamo di fronte a delle pinne in cui si riconoscono due parti separate e distinte che lavorano in perfetta simbiosi: la scarpetta e la pala. La prima è di gomma o in elastomero dell’ultima generazione, è chiusa, cioè non è dotata di aperture varie, laccioli e fibbie di regolazione, ed è affiancata da due costolature pronunciate, denominate longheroni.
Ha la funzione di rivestire il piede in modo perfetto e di raccordarsi intimamente la pala per trasformare in modo ottimale l’energia applicata dall’atleta. Ogni zona “aperta” e cioè non solidale all’arto, in qualche modo non partecipa alla completa distribuzione dello sforzo fisico ed è una nota di demerito per l’intero sistema, evidenziabile purtroppo proprio durante il nuoto pinnato. Il colore predominante è nero a parte alcune scarpette che possiedono delle fasce di irrobustimento o di rinforzo di colore grigio chiaro poste laddove c’è bisogno di massima integrità costitutiva. Le misurazioni disponibili vanno a cavallo di tre numeri in tre (per esempio: dal 38/40 al 46/48) oppure di due in due (38/39, 44/45), a secondo del marchio d’appartenenza, e soddisfano le calzate più disparate. Hanno una forma interna non eccessivamente elaborata dal punto di vista fisiologico e quindi rendono al meglio indossando un calzare di neoprene o, nel periodo estivo o in acque calde, anche un tubolare di spugna: il piede si assesta all’interno e diventa un tutt’uno con l’attrezzo, con le conseguenze benigne sopra citate.
Le pale, da cui dipende significativamente il comportamento fluidodinamico della pinneggiata, sono generalmente stampate in plastica ma esistono delle eccezioni riguardanti alcuni prodotti specifici. La forma è rettangolare, con una parte terminale stondata o con profili a “rientrare”: anche i laterali, le scanalature superficiali, la disposizione delle fibre, concorrono a precisi obiettivi dinamici.
La lunghezza varia da circa 62 centimetri a 87centimetri così come la larghezza, da circa 230 cm ai 205 cm; lo spessore, da circa 4 mm a qualcuna che rasenta il millimetro di sezione; anche il peso, l’elasticità, la durezza possiedono diverse differenze e livelli in modo da essere adattate alle prestazioni soggettive. Alcuni costruttori preferiscono inglobare indissolubilmente in un monoblocco le diverse unità compositive, affermando che un’unica struttura rende meglio in termini di resa propulsiva mentre altri forniscono scarpetta e pala separate in una gamma ampia di accoppiamenti:
apposite scanalature laterali ai longheroni e due viti poste inferiormente uniscono indissolubilmente l’attrezzo smontabile.
La potenzialità della seconda soluzione è evidente: chi possiede un minimo di abilità manuale può individuare la scarpetta che preferisce e collegarci poi la pala che risponde alle proprie esigenze, al proprio modo di pinneggiare, ecc. In caso di malaugurata rottura vi è la possibilità di sostituire solo un pezzo, risparmiando sui costi globali. C’è qualche sub che ha piacere di calzare su una gamba una pinna più rigida e sull’altra una più cedevole: come vedete la scelta e le soluzioni sono molteplici. Vi sono delle ditte che, addirittura, fabbricano e distribuiscono soltanto delle pale universali, con diverse proposte allettanti: solitamente si tratta di prodotti di fattura eccezionale, ad esempio in fibre composite o in speciali tecnopolimeri caricati, adatti a chi cerca davvero il non plus ultra.
Riguardo alla trasportabilità delle lunghe appendici basterà organizzarsi un pochino per non accorgersi neppure di averle appresso. C’è qualcuno che le lega con una fibbia elastica all’esterno del borsone e chi le infila all’interno dello zaino senza patemi d’animo: basta dedicarci un briciolo di tempo e fantasia. Sopportano parecchi maltrattamenti e se si riesce a non brutalizzare eccessivamente la pala con ripetuti oltraggi fisici, urti violenti e compagnia bella, se si avrà l’accortezza di sciacquarle in acqua dolce ad ogni tuffo, se non le abbandoneremo al sole cocente, otterremo dei servigi fedeli e delle soddisfazioni profonde, per decenni.
La tecnica di nuoto con le pinne lunghe comporta un leggero cambiamento di abitudini rispetto alla pinneggiata che siamo abituati ad effettuare di solito. Con il beneplacito degli ultimi studi fluidodinamici e dei tests condotti con sofisticati marchingegni di misurazione e valutazione, si è visto come il subacqueo può migliorare sostanzialmente la progressione sott’acqua: esso deve far compiere alle pinne un irreprensibile movimento sinusoidale, al pari del corpo di certi mammiferi marini o alla coda di alcuni pelagici.
La pala, piegandosi e distendendosi in un ondeggiamento sinuoso (definito a doppia S) sposta una massa d’acqua significativa permettendo così un’alta penetrazione nel liquido in questione. Le gambe devono imprimere alle pinne l’energia meccanica senza produrre azioni o comportamenti di contrasto. In pratica si deve lasciare lavorare la pala in modo ottimale, adeguando la potenza muscolare ai requisiti dell’attrezzo e non viceversa. La falcata sarà effettuata tenendo possibilmente gli arti inferiori piuttosto fermi, in pratica non flettendo le ginocchia, e trasmettendo la spinta con il solo collo del piede coadiuvato lievemente dall’azione della gamba. Le prime volte è consigliabile fare delle prove in piscina, magari seguiti a vista dai colleghi apneisti o da qualche osservatore imparziale che verificherà il corretto movimento praticato, e poi si andrà in mare per il collaudo finale. Come regola di scelta le pale che spingono maggiormente sono quelle dotate di una elasticità elevata, un nervosismo pronunciato, cioè caratterizzate da un “ritorno” molto rapido: i tempi morti che affliggono qualsiasi pinna saranno così ridotti al lumicino.